Il “Corriere della Sera”, quotidiano di Mediobanca e della famiglia Agnelli-Elkann, sta dando ampio spazio alla pubblicazione di stralci dei documenti diplomatici statunitensi resi pubblici da “Wikileaks“. È però evidente come ci sia una ben precisa logica nella selezione degli estratti da pubblicare. Tutti i passaggi critici verso le relazioni Italia-Russia hanno trovato spazio ed ampio rilievo nelle pagine del quotidiano. Ampiamente citato è stato pure il cablogramma inviato dall’ambasciatore statunitense Spogli, datato 26 gennaio 2009. Troverete un riassunto cliccando qui. Stranamente il “Corriere della Sera” ha però evitato di citare un passaggio fondamentale del cablogramma. Per comodità del lettore lo riportiamo in traduzione italiana; le sigle si riferiscono a particolari uffici dell’Ambasciata: Pol = Ufficio Politico; PA = Ufficio Affari Pubblici; Econoff= Ufficio Economico:
Per attaccare frontalmente il problema, Post ha messo in campo una vigorosa strategia diplomatica e d’affari pubblici diretta a figure chiave, interne ed esterne al Governo [italiano]. Il nostro scopo è duplice: educare più profondamente gl’interlocutori circa le attività russe e dunque sul contesto della politica statunitense, e costruire a mo’ di contrappeso un’opinione dissenziente sulla politica russa, specialmente dentro il partito politico di Berlusconi. Dall’inizio dell’estate, col ritorno di Berlusconi al potere e la crisi georgiana, abbiamo coinvolto dirigenti del Governo italiano, aggressivamente e a tutti i livelli. Pol, PA e Econoff hanno coinvolto membri di partito, contatti nel Governo italiano, pensatoi ed anche la stampa, al fine di fornire una narrazione alternativa all’insistenza di Berlusconi che la Russia sia un paese stabile e democratico, provocato dall’Occidente. Lo sforzo sembra stia pagando. L’opposizione ha cominciato ad attaccare Berlusconi accusandolo d’aver scelto la parte sbagliata. Alcuni nel PdL hanno cominciato a rivolgersi a noi privatamente, per dirci che gradirebbero un maggiore dialogo con noi sulla questione russa, ed hanno rivelato il loro interesse a sfidare l’infatuazione di Berlusconi per Putin.
Sarebbe interessante sapere dal “Corriere” perché non voglia portare a conoscenza dei suoi lettori anche questo brano fondamentale. Essi hanno il diritto/dovere d’interrogarsi sui fatti rivelati da “Wikileaks” – su tutti i fatti, non solo su quelli accuratamente selezionati dai media. È degno d’un paese sovrano ed indipendente che esponenti della classe politica si rivolgano ad un’ambasciata straniera, ancorché alleata, per contrastare l’azione del proprio Governo? Non è prerogativa irrinunciabile, per uno Stato realmente sovrano ed indipendente, che i problemi di politica interna siano risolti, per l’appunto, internamente, senza l’ingerenza di potenze straniere?
Ma il quotidiano di Mediobanca e degli Elkann pare interessato ad altre domande, come quelle rivolte da Massimo Mucchetti, nell’edizione del 3 dicembre scorso, e rievocate dai suoi colleghi nei giorni successivi. In buona sostanza, la tesi di Mucchetti è che la scelta dell’ENI di partecipare alla costruzione del gasdotto South Stream sia economicamente insensata, in quanto bisognerebbe semmai investire nel gas di scisto (“shale gas“). Invitiamo i lettori a consultare il breve articolo di Mucchetti, che commenteremo di seguito.
Spieghiamo rapidamente cosa sia questo shale gas, cui Mucchetti pare attribuire virtù taumaturgiche. Si tratta di un gas contenuto in rocce scistose (cioè che si sfaldano secondo piani paralleli) nel sottosuolo, generalmente a più di mille metri di profondità. Lo sfruttamento del gas di scisto ha un impatto ambientale nient’affatto trascurabile. Per ottenere il gas bisogna fratturare le rocce, e la tecnica è quella di sparare nei pozzi acqua mista a sabbia e sostanze chimiche. Ciò significa che, in un’epoca in cui l’acqua sta divenendo un bene raro e prezioso, se ne dovrebbero utilizzare ingenti quantità per fratturare delle rocce nel sottosuolo. Inoltre, nel processo sono immessi nel terreno anche sostanze chimiche: negli USA si sono già verificati casi di contaminazione di falde acquifere. Consigliamo la visione del documentario GasLand di Josh Fox.
Un’altra problematica connessa al gas di scisto è che, per estrarlo capillarmente, gli strati vanno perforati orizzontalmente. Ciò significa che, laddove un giacimento di gas convenzionale richiede un singolo pozzo verticale, un giacimento di gas di scisto richiede numerosi fori orizzontali. In un continente densamente popolato come l’Europa è difficile trovare ampie zone spopolate, e l’idea di radere al suolo intere città, deportare gli abitanti ed avvelenare le falde acquifere non è neppure contemplata, o così almeno ci auguriamo.
Queste sono le ragioni per cui ben pochi credono davvero che in Europa si possa raggiungere un livello di sfruttamento del gas di scisto pari a quello degli USA. Inoltre, non si sa di preciso se vi siano giacimenti significativi in Italia. Vale davvero la pena di rinunciare a mettere in sicurezza e potenziare la propria principale via di rifornimento energetico – quella proveniente dalla Russia – per investire tutto in un’intrapresa dall’esito assai dubbio? L’ENI di Scaroni, va sottolineato, si sta già impegnando nel campo del gas di scisto, e ciò da prima dell’articolo di Mucchetti. Ma, con senso del realismo, l’ENI non rinuncia al gas russo per puntare tutto su solo ipotetici giacimenti italiani di gas di scisto, il cui sfruttamento, per giunta, comporta gravissimi danni ambientali (oltre a quelli già citati, numerosi scienziati ritengono che la produzione del gas di scisto avveleni l’atmosfera e contribuisca al riscaldamento globale più della combustione del carbone).
A meno che la proposta sia quella d’importare il gas di scisto da chi già lo produce in grandi quantità: gli USA. Ma perché rinunciare ad un fornitore vicino, affidabile (sono decenni che il gas naturale russo arriva in Italia), già ampiamente connesso alle reti energetiche italiane, per affidarci ad un fornitore che sta dall’altra parte dell’oceano? Per riecheggiare la domanda che si pone Mucchetti in chiusura del suo articolo, chi ci guadagnerebbe da un simile cambiamento? Davvero ci guadagnerebbe l’Italia, che semplicemente scambierebbe la sua dipendenza dalla Russia con quella dagli USA? Oppure a guadagnarci sarebbe esclusivamente il nuovo fornitore, ossia gli USA? Gli stessi USA che, nella loro corrispondenza diplomatica, criticano aspramente l’amicizia tra Italia e Russia, e la cui ambasciata a Roma ha lavorato per sabotarla…
* Daniele Scalea, redattore di “Eurasia”, è autore de La sfida totale (Fuoco, Roma 2010).